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DAL CONTINENTE NERO ALLE ALPI


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Questo articolo è stato pubblicato in origine su Alpidoc numero 103 1/2020.

Ringrazio Enrica Raviola e Nanni Villani per avermi dato la possibilità di collaborare a questa interessante rivista.

Un grazie come sempre ai fotografi che hanno reso disponibili le loro foto


Biancone

 

 La neve non si è ancora sciolta sui monti, se non sui pendii ben esposti o ripidi. Gli stambecchi iniziano a scendere verso i prati che presto vedranno comparire la vegetazione tenera primaverile. 

 

Nei boschi gli uccelli hanno già iniziato a cantare da oltre un mese, gli alberi d'altronde offrono già di che cibarsi e rifugiarsi, al contrario delle praterie alpine. Le specie che abitano stabilmente il nostro continente sono già all’opera, hanno scelto il partner, alcune hanno già deposto le uova. Presto anche le più tardive nidificheranno e alleveranno i loro pulcini.

 

Luì grosso

 

Ma da fine marzo e poi prepotentemente in aprile e maggio, arrivano legioni di altre specie, esotiche per certi versi, comuni ai nostri occhi per altri. Sono gli uccelli africani, evolutisi nel continente nero ma, a differenza di altri loro congeneri, più propensi a spostarsi e, infine, a migrare.

 

Migrare, per gli uccelli, significa spostarsi con una periodicità regolare fra un luogo di alimentazione e di sosta (i quartieri invernali) ad un luogo dove si troverà nutrimento, rifugio e si potrà procreare con successo: i quartieri estivi, che poi, inevitabilmente, verranno abbandonati perché inospitali in altre stagioni.

  

Ibis eremita

  

 E’ ovvio che il clima ha sempre fatto la sua parte, sia qui in Europa, che in Africa. Le stagioni impongono a tutti gli esseri viventi il loro ritmo e solo con la primavera il nostro continente diviene accogliente per miliardi di uccelli che dall’Africa si spostano verso Nord, quando là inizia la stagione delle pioggie.

 

Immaginate le praterie e gli arbusteti di montagna. Deserti d’inverno, se non per la presenza di qualche specie altamente specializzata, come la pernice bianca, il fagiano di monte, il sordone, d’estate ricche di fauna colorata e combattiva: culbianchi, stiaccini, cuculi, prispoloni, bigiarelle, zigoli come l’ortolano, averle, quaglie, e sorvolate da rapaci come il biancone, esperto nella caccia ai serpenti. E i boschi?

 

Abitati da falchi pecchiaioli, luì bianchi, beccafichi, a fianco di capinere, poiane e fringuelli.

 

Pantana

 

 Per molte persone questi nomi sembrano tirati fuori dalla tuba del cappellaio matto. Ma le specie a che ho nominato sono solo una parte delle decine che vivono d’estate sulle nostre montagne, che contribuiscono a renderle come sono, verdi, ricche di vita e di colori. E tuttavia ignote a molti escursionisti che, ogni estate, le percorrono a piedi o con altro mezzo, soffermandosi sui paesaggi, su un fiore particolarmente appariscente, su un grande e visibile ungulato. Quasi mai su un volatile.

 

Eppure le nostre montagne sono una miniera d’oro anche per ciò che non siamo abituati a vedere. Che potremmo scoprire se solo fossimo più attenti a ciò che ci circonda? Andando ad esempio al Rifugio Questa si possono incontrare dalle trenta alle quaranta specie di uccelli. Incredibile no?

 

Culbianco

 

 Bisogna immaginare però che se ci fossero state solo le Alpi, gli uccelli africani non sarebbero mai venuti in Europa. C’è infatti da considerare che gli ambienti alpini sono molto simili a quelli, enormemente più estesi, delle latitudini nordiche, dalla Scandinavia alla Siberia.

 

Lì c’è veramente di che nutrirsi e allevare la prole e perciò milioni e milioni di limicoli, piccoli trampolieri migratori, passeriformi insettivori, rapaci e altre specie si sobbarcano il lungo viaggio e ogni primavera ritornano e colonizzano tutti gli ambienti disponibili dal Mediterraneo al Circolo Polare, per poi riprendere la strada da casa prima che arrivi la neve. Parliamo di qualcosa come 5 miliardi di uccelli migratori, solo fra Europa e Africa.

 

Prispolone

 

Ma come avranno fatto a scoprire che qui c’è da mangiare? È nella storia del clima che troveremo risposta.

 

Intorno a 20.000 anni fa, nel pieno dell’ultimo periodo glaciale a noi conosciuto, il Wurm, il Mar Mediterraneo era più basso di oltre 100 m e lo stambecco viveva nei dintorni di Ventimiglia, dunque in ambiente alpino, con praterie rase, rocce nude e ben pochi alberi. Condivideva lo spazio con la pernice bianca, l’ermellino e la lepre variabile, tutte specie oggi relegate sulle Alpi. L’estate era più o meno come quella scandinava, l’inverno freddo e gelido.

 

Luì bianco

 

Il Sahara a quell’epoca era un’enorme prateria verdeggiante e una savana ricca di piante e animali e soprattutto di acqua.

Gli uccelli che vivevano nelle aree tropicali dovevano tuttavia competere con molte altre specie e quindi, man mano che il riscaldamento globale ampliò stagionalmente le aree in cui la vegetazione poteva vivere, ecco che la rondine, il prispolone, il rondone, il cuculo, il gruccione, la cicogna bianca e il biancone, probabilmente già inclini a spostarsi all’interno dell’Africa, diventarono i primi colonizzatori delle nuove terre.

 

Gru - foto Andrea Giraudo

 

 Migrarono in primavera e ritornarono a Sud in tarda estate, e poi via via sempre più a Nord e sempre più lontano man mano che il clima si riscaldava e l’Europa si ricopriva di vegetazione. Impararono lentamente le rotte, che rimasero con il tempo impresse nei loro geni, rotte seguite ancor oggi da millenni.

 

Sempre adattandosi, per quanto possibile, ai cambiamenti in atto, oggi imposti soprattutto dalla nostra invadente e ubiquitaria presenza.

 

Averla capirossa

 Il periodo interglaciale in cui siamo portò nel giro di 12-13.000 anni l’Europa a essere una terra verde e rigogliosa, con un Sahara sempre più arido e caldo. Nello stesso periodo è stato possibile lo sviluppo della rivoluzione agricola, che mise le basi per la nostra civiltà.

 

Oggi siamo di fronte ad un cambiamento climatico simile a quelli avvenuti in passato, ma certo molto più repentino.

 

Da alcuni anni, l’upupa, l’assiolo, il biancone, la cicogna bianca, hanno iniziato, in alcune aree dell’Europa meridionale, a non migrare più. Gli inverni sempre più miti consentono ad alcuni individui di trovare le risorse per sopravvivere. Loro saranno i primi a formare popolazioni non più migratrici, i primi a risalire le coste del Mediterraneo e le nostre vallate, per insediarsi nei territori migliori.

 

Piviere tortolino - Foto di Marisa Odetto

 

In futuro le Alpi rimarranno, per gli uccelli, e non solo, uno degli ultimi baluardi naturali della fauna europea, mentre ai loro piedi gli ambienti adatti alle piante e agli animali selvatici, coperti di case, strade, monocolture, potrebbero diventare sempre più dei deserti biologici.

 

Ma già si intravvede il futuro, perché se alcune specie di piante, insetti, mammiferi e uccelli potranno trovare sempre più a Nord i loro ambienti preferiti, altre incontreranno barriere naturali o artificiali insormontabili e scompariranno. Come succederà alla pernice bianca, per fare un esempio nostrano.

 

Gufo di palude - Foto di Francesco Panuello

 

Considerando questo fenomeno su scala geologica, ciò che è in atto è un episodio irrilevante e nemmeno nuovo, molti sono stati i cambiamenti del clima e le estinzioni nel passato, molte sono le specie che si sono modificate e adattate alle nuove condizioni.

 

Ciò che c’è di inedito in questa fase del tutto naturale è che ci sono oltre sette miliardi di umani che dovranno adattarsi insieme alle altre specie e che hanno modificato radicalmente gli ambienti naturali, costruendo megalopoli da milioni di persone.

 

Nibbi bruni - Foto di Francesco Panuello

 

 

Le specie che hanno imparato a sorvolare il Sahara e il Mediterraneo, come il luì bianco, trasportando per migliaia di chilometri ogni anno i loro 7 grammi di piume, ossa e muscoli non è detto che riusciranno a farlo in futuro o, almeno, non nei tempi e nei modi che conosciamo oggi. Dipenderà anche dalla disponibilità di ambienti per la sosta, la riproduzione e l’alimentazione che incontreranno lungo il loro volo.

 

Continuerà ad essere molto interessante seguire la migrazione degli uccelli. Un evento che, come sempre, ci racconterà molte cose sulla natura e sui cambiamenti del Pianeta. E farci riflettere anche sul nostro futuro.

 

Cicogne bianche


la migrazione dei rapaci

Per la maggior parte di noi quando si parla di migrazione si pensa alla cicogna, alla rondine o, da qualche anno a questa parte, alle gru.

 

Ma esistono molte migrazioni, potremmo dire una per ogni specie migratrice. In particolare esiste, in provincia di Cuneo, una importante migrazione, sconosciuta ai più: quella dei rapaci.

 

Ebbene sì, i rapaci migrano dall’Africa all’Europa, e viceversa, perché alcuni di loro hanno un’alimentazione molto specializzata: mangiano insetti o rettili, due tipi di prede che sono attive solamente dalla primavera all’autunno.

 

Parliamo qui del falco pecchiaiolo e del biancone, due rapaci che transitano sulle Alpi in primavera, da fine marzo a metà maggio, e poi, in massa, da metà agosto alla fine di settembre.

I primi ad arrivare sono i bianconi, una specie di aquila che si ciba soprattutto di serpenti e lucertole, che giungono nelle nostre vallate intorno al 20-25 di marzo. Nidificheranno su grandi alberi, di solito conifere, e sorvoleranno per tutta la primavera e l’estate le praterie assolate, alla ricerca delle loro prede.

Da inizio settembre e fino alla fine del mese riprenderanno il loro viaggio verso Sud.

 

Circa venti giorni dopo i bianconi arrivano i falchi pecchiaoli, una specie di poiana che si ciba però solo di imenotteri selvatici. Anche loro sono dei migratori obbligati, poiché le loro prede a fine estate muoiono o si ibernano ai primi freddi. Ed ecco che i pecchiaioli ripartono a metà agosto, concentrando il loro viaggio a fine mese, con punte, sulla Valle Stura, anche di tremila individui in un giorno.

 

Ma se volete approfondire l’argomento, vi invito a leggere l’altro box sull’Infomigrans.



il progetto migrans

 

A metà degli anni ‘80 alcuni ornitologi, Franco Bergese per primo e poi RobertoToffoli, scoprono una rotta migratoria lungo la Valle Stura. Si tratta di una scoperta nel suo genere, poiché mai prima di allora si pensava che la provincia di Cuneo fosse teatro della migrazione dei rapaci.

 

Dal 1992 prima la Riserva Naturale di Palanfré e poi il Parco Naturale Alpi Marittime, nei quali ho avuto l’opportunità di lavorare per 25 anni, prendono in carico un progetto di monitoraggio e studio legato a questo fenomeno così affascinante e inedito.

 

Io ebbi la fortuna di lavorare a questo progetto si da subito e ne divenni il coordinatore a partire dal 1998. Nel frattempo anche in altre aree italiane si stava sviluppando questo filone di ricerca, che portò nel corso degli anni alla redazione di un bollettino di informazione, l’Infomigrans, giunto oggi al 44esimo numero.

 

Oggi questo periodico semestrale ospita la sintesi delle osservazioni di tutti i campi di monitoraggio italiani ed è l’unica pubblicazione che parli di rapaci migratori nel nostro Paese.

 

Perchè tanto interesse? Innanzitutto perché i rapaci hanno da sempre affascinato l’uomo. E poi perché, essendo all’apice di numerose catene alimentari, sono un indiretto indice di qualità dell’ambiente. Un indice che ci fornisce informazioni anche sullo stato di salute degli ecosistemi che ci servono per vivere, in benessere e salute.

 

Aspetti per nulla secondari in questo momento storico. Conservare la biodiversità protegge anche noi stessi, è più che mai un assunto attuale e pregante.

Il bollettino Infomigrans è scaricabile alla pagina

 

http://www.areeprotettealpimarittime.it/ente-di-gestione-aree-protette-alpi-marittime/pubblicazioni/infomigrans

 


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foto Laurent Carré 2014

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Luca Francesco Maria Giraudo

 

Ornitologo - International Mountain Leader - Accompagnateur en Montagne BE France - Accompagnatore  Naturalistico Regione Piemonte - Accompagnatore Turistico - Istruttore nazionale Nordic Walking SINW

e-mail: luca.giraudo21@gmail.com - cellulare +393336678359 -  portable +33767220496

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 Ultimo aggiornamento: 17 dicembre 2024